Scuola magistrale, esami del 5° anno al Conservatorio di Torino, maturità artistica, Accademia di Brera, abilitazione a Roma per l’insegnamento del disegno.
Anni trenta frequenta lo studio del pittore Gariboldi, a Varese, dove apprende la tecnica della punta secca (su rame e zinco). In archivio la sua prima stampa.
Fine anni trenta e inizio anni quaranta alcune lastre con paesaggi con la tecnica della punta secca su rame e zinco.
Si sposa a Lugano nel 1940 ed incide forse la sua ultima lastra (casa di Pregassona, punta secca) del PRIMO PERIODO nel 1942, per la nascita del primo figlio. Nascono gli altri figli nel 1944, 1946 e 1948. I gravosi impegni famigliari non le permettono di dedicarsi alla sua arte. Nel 1964 muore il marito, e si ritrova vedova con quattro figli agli studi. Passa quindi un ventennio senza la possibilità di eseguire altre opere.
Riprende poi con l’incisione (acquaforte) frequentando lo studio di Federica Galli a Milano. Inizia quindi il SECONDO PERIODO, lavoro che la impegna fino alla fine degli anni novanta, quando le forze vengono meno.
Muore a Lugano, dopo lunga malattia, nel 2003.
Membro SPSAS (società pittori, scultori, architetti della Svizzera italiana). Cofondatrice del CISI (compagnia incisori della Svizzera italiana).
Mostre Collettive a Milano, Varese, Zurigo, Losanna, Lugano, Locarno, Langhirano (Parma) (rassegna nazionale di grafica), Musée cantonal des beaux arts a Sion. Personale a Ginevra, all’ ex convento dei cappuccini a Sorengo, al convento dei cappuccini a Lugano, a “Les Serans” (Giura francese) …… Pubblicazioni della RTSI, presenza al XVII congresso internazionale dell’ “Ex libris”.
Alcune stampe sono presenti nella collezione della città di Lugano e dello Stato del Canton Ticino.
Nel 2015, in occasione di una mostra delle opere di Emilia Banchini al Bigorio, é stato pubblicato il libro "Emilia Banchini".
Non credo sia permesso soffermarsi più di un attimo di fronte all’innegabile (anzi, diciamo pure sbalorditiva) abilità tecnica delle incisioni di Emilia Banchini, perché quella soglia è subito trapassata per giungere alla pienezza di esiti nei quali l’esattezza miniaturistica del segno, l’equilibrio delle masse, l’immacolatezza luminosa dei bianchi e la purezza dei neri testimoniano con rigore inattaccabile la rara qualità del suo lavoro. La purezza carnale della ninfea sulla piazzetta inquieta come un messaggio e un’illusione, le seggioline candide nel giardino sono un miracolo di conversazione ininterrotta delle cose in una sorta di gremita rarefazione.
E poi il geometrico sviluppo di pietra e di vegetali, razionale e sognato, chiaro mistero, discorso interiore e naturalismo che non indugia a diventare poesia.
Artista che vale la pena di non dimenticare. E l’occasione è data dal bel lavoro che sta portando avanti il figlio Gabriele ordinando e catalogando il materiale lasciato dall’artista in preparazione di un fondo che sarà messo a disposizione del pubblico. Una collezione completa di tutte le acqueforti e puntesecche, lavori di scuola, schizzi a matita, studi per impaginazioni e formati, note sulle morsure, fotografie, notizie di stampa.
Le carte sono di una qualità rara: i temi – ambienti di natura coltivata e non, particolari vegetali, frammenti di oggetti – sono immagini create come fuori dal tempo. A volte alcuni dettagli gli si sovrappongono in spazi formalmente compiuti, elementi simbolici in luoghi descritti con segni stupendamente sottili e fitti, di una precisione da miniatura. Perizia, abilità, mestiere, mai virtuosismo; superamento e trasformazione tramite memorie e sogni, sentimenti e misteriose passioni, poeticamente narrate con esiti di grande pregnanza espressiva. Un mondo originale che vive nella luce immacolata della carta tra le molte tonalità di grigio e neri intensissimi.
Rivedo nella memoria l’ultimo incontro con l’artista più che ottantenne, nel suo ordinatissimo studio di Pregassona, longilinea e flessibile come le sue fronde incise, visionaria come la sua versione dei sassi della Maggia.
"L'attesa"
I segni certosini di Emilia Banchini
Lontana dai riflettori l’artista luganese, incisore puro, è morta all’età di 85 anni
Forse avrebbe voluto il silenzio. Così dolce, fiera, riservata, elegante, sicuramente aliena dai clamori che impestano l’arte Emilia Banchini è deceduta in silenzio, un po’ come ha vissuto. Pochi se ne sono accorti, tutti presi dalle miriadi di presenzialisti, scocciatori, girotondini di vernissage, tanto che finora nessuno ne ha parlato.
Emilia Banchini era un incisore puro, uno degli ultimi rimasti in Ticino. Un’artista vecchio stampo, dedita al lavoro solitario e duro, che non ama i clamori della folla o le serate danzanti degli ultimi clown.
Ci vuole coraggio per ammirare una piccola incisione in bianco e nero, coraggio e competenza, ma anche conoscenza della tecnica e delle sue asperità. Oggi pochi sanno la differenza tra una puntasecca e un’acquaforte perché siamo nel mondo dell’eclatante e dell’immediato. Le bombe sono belle quando cadono e sbrandellano i corpi in una miriade di colori; subito dopo si cambia canale per un’altra emozione.
Emilia cesellava le lastre con puntigliosa fermezza, lasciando poco spazio alla casualità e in codesta sua peculiarità si ritrova un mondo di certezze e di valori.
È nata a Varese nel 1918 e dopo l’Accademia di Brera a Milano consegue l’abilitazione all’insegnamento del disegno a Roma. Negli anni ’50 frequenta gli studi di Gariboldi e di Francesca Galli ove impara la punta secca e l’acquaforte. Ha esposto raramente. Era socia della Spsas ma soprattutto ha fatto parte del gruppo fondatore della Compagnia incisori della Svizzera italiana. Sempre presente alle riunioni, nonostante l’età, è stata anche membro del comitato.
Nel 1998 la Cisi le dedica la cartella annuale.
Le sue incisioni vengono lette come lavori realistici, ma in effetti sono un’illusione della realtà. Non siamo di fronte insomma a un approccio rinascimentale nel quale il chiaroscuro dà forma al volume, bensì a una trasversalità gotica nella quale le linee di contorno assumono valenza simbolica. Un mondo idilliaco e nello stesso tempo rude e profondo. Nell’incisione per la Cisi Mattino invernale il sentiero centrale contornato da alberi e rami secchi sembra da un lato scongiurare il passaggio e nel contempo dall’altro segnare la strada irta di difficoltà della vita verso la salvezza. Una visione intrisa di realtà e illusione, nella quale il lavoro maniacale e certosino segna l’impasse fra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere.
Per questo con Emilia Banchini se ne va una parte di quella generazione appartata che si ritrova raccolta attorno alla ricerca dell’essere piuttosto che dell’apparire.